domenica 21 agosto 2011

Il filo d’olio il filo d’oro il filo rosso (1)



Il barone Giuseppe Francesco Cianci di Cavasecca, Peppinello per gli amici e i pochissimi non amici, biondo e di gentile aspetto, divideva la sua ancor giovane vita tra i Parioli, Roma e il sud est della Sicilia, presso alcune dimore “nella disponibilità” della famiglia. In una di queste, nel Capoluogo, si faceva una prima colazione a base di caffè, pane caldo al sesamo con le acciughe e  frutta. Si scendeva poi con comodo in strada per una seconda prima colazione al tavolino del caffè, di dove si poteva con agio taliare le femmine al primo passeggio. Qui si aveva granita di mandorla, focaccia farcita di gelato e un altro caffè, torrefazione Torrisi di Catania. A questo punto la giornata poteva anche cominciare. Se si optava per una gita di piacere, al mare di Fontane Bianche, a Pachino, Eloro o a Capo Passero, si prendeva la Duetto blu, a gas per non inquinare. Talvolta il sedile del passeggero veniva leggiadramente occupato da almeno sei secoli di storia nella persona di una principessa romana di sangue, molto giovane, molto bella, molto profumata e molto intangibile; in quel caso l’Ospite Bolognese viaggiava accoccolato nello strapuntino: noblesse oblige. Se si sceglievano gli affari, cioè una visita alla campagna eponima, si andava con la Mercedes Codine giardinetta. Era immatricolata come mezzo agricolo, acquistata con il contributo della Cassa del Mezzogiorno, e per questo nel vano posteriore c’era sempre un sacchetto di juta con 2 kg. di mandorle e stampigliata la scritta “Az.Ag.Cavasicca”, in caso di controllo della Finanza. Si andava a pranzo sempre e comunque in un’altra delle dimore “a disposizione”. Qui regnavano le zie, già ottantenni,  donne colte e di larghe vedute, dopo più di trent’anni passati negli Stati Uniti al seguito della moderately successful impresa americana del, da tempo defunto, marito di una di loro. Erano queste signore cuoche memorabili. L’accesso alla cucina era generalmente interdetto, si fece un’eccezione per l’Ospite Bolognese che come tale si qualificava adatto ad assistere alle operazioni di preparazione e cottura. Vennero così narrati fatti antichi, moderni e contemporanei di quelle Terre, dalle querelles baronali sedate con astuzia dal Signore di Bagni, al Marchese di Cassibile che cavalca “in coscciùme adamitico” tra gli ulivi della tenuta (colà non esistevano piedi ma estremità ne’ natiche, ma generiche terga), all’”armistizio breve”, fino al più recente disgraziato caso del pretore onorario circondato da una folla minacciosa nella cabina telefonica da cui schizzava sconcezze via cavo ad alcune timorate signore del paese. Tutto pur di distrarre l’Ospite dalle segrete preparazioni. Talvolta, nel primo cortile, piastrellato e munito di fontana, il giovane barone in persona, che era ed è anche chirurgo, sezionava con gli strumenti della professione sua, un coniglio più o meno selvatico, capitato in casa non si sa bene come. Sulle mensole, dentro ceramiche di Caltagirone, riposavano gli ingredienti della caponata in attesa di riunirsi nella composizione finale. La caponata si faceva infatti “alla palermitana” in onore delle origini più antiche della famiglia.


Caponata delle Zie d’America


Melanzane, in totale 500-750 gr

1 ½ l d’Olio (!)

1 cipolla media

500 gr di passata di pomodoro

Olive verdi

Sedano bianco tenero

50 gr. di capperi panteschi

100 cc di buon aceto di vino

1 cucchiaio di zucchero, disciolto nell’aceto

Mandorle

Sale e pepe

Le melanzane vanno tagliate a dadini e fatte spurgare nel solito modo. Vanno poi salate e pepate e poi imbiondite in tegame con metà dell’olio bollente e tratte dal tegame con una ramina, scolandole. Mettere da parte.

In una padella si versa l’olio rimanente e si fa disfare bene la cipolla affettata. Si aggiungono il sedano a tocchetti, le olive e la polpa di pomodoro, mescolando con cura. Salare se necessario e far sobbollire per ridurre un po’ la salsa. Si aggiungono poi le mandorle, i capperi e la miscela di aceto e zucchero. Cuocere ancora incoperchiato per il tempo necessario alla perfetta consistenza del sedano.

Si versa in un recipiente di terraglia e si lascia raffreddare e riposare. E' ottima fredda il giorno dopo.
Se si è in tanti, moltiplicare le dosi, ma si può anche stare più stretti con l'olio!








Un meritorio servizio alla conoscenza della cucina siciliana mediata dalla buona letteratura ci viene dai Fans di Camilleri con la loro pagina a: http://www.vigata.org/cucina/ricette. Ibidem si trova: Andrea Camilleri. I piatti della nonna dentro Montalbano , un appassionato inervento di Sebastiano Messina già pubblicato su "La Domenica di Repubblica", 10.7.2005 che così incipit:
I profumi, i sapori, l'atmosfera e i segreti della cucina della casa di campagna a Porto Empedocle sono entrati nelle pagine dei suoi libri e non per semplice caso. Ogni squisitezza del ricettario di nonna Elvira ha la sua storia, anche i mitici arancini del commissario Montalbano arrivano da lì. Svelare i misteri dei piatti della cuoca-generalessa significa ritornare all'infanzia e alla prima conoscenza della sua indimenticabile Sicilia.

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