venerdì 26 agosto 2011

il Gastronomo in Vacanza


Il Gastronomo va in vacanza.
Vi lascia un quiz per ingannare il tempo da qui a fine Settembre.


Quali vacanze per il Gastronomo Educato?

1




2



3




Scegliete qual è a vostro parere la vacanza preferita dal
Gastronomo Educato,
la 1, la 2, o la 3?
 I nomi delle vincitrici/ori verranno pubblicati sul nostro Blog.
 Tra loro verrà estratto la supervincitrice/ore del Premio Speciale: una ricetta inedita  dedicata!



Bonne chance à tous!
J.W.W.

Il Gentiluomo a tavola

Ovvero: Il Gastronomo? E’ Duca, tò!


 Giuseppe Maria Crespi, la Sguattera, Firenze, Uffizi
Già Collezione Contini Bonacossi, opera recuperata da Rodolfo Siviero nel 1953


Ho sotto mano l’edizione del 1950 de Il Gastronomo Educato di Alberto Denti di Pirajno, edito a Venezia da Neri Pozza. Il libro è rilegato alla Bodoniana, ma stando alla sovraccoperta celeste, ne esisteva anche una versione rilegata “in tutta pelle”. Il prezzo è cancellato con elegante ed efficace tratto di penna. E’ stato un regalo, ma non ci sono né dediche né note di possesso precedenti a quelle degli attuali proprietari. Era sul mercato antiquario 25 anni dopo l’uscita, anche il prezzo a matita in sovraccoperta è stato cancellato a gomma, ma si riconosce la grafia del signor Carmine della libreria Nanni al Portico della Morte.

Il risguardo così ci illumina:” Questo libro gioioso è destinato tanto alle donne quanto agli uomini.(…) è qualche cosa di più di una raccolta di ricette o un manuale di cucina o un trattatello sulla buona educazione del commensale; ma può essere tutto questo per la ricca e varia umanità dello scrittore”.

Tale umanità ricca e varia ha origine in Sicilia (a Cefalù, in Piazza Duomo, c’è il cinquecentesco Palazzo Pirajno di Mandralisca avente “il cortile con elementi derivanti dall'architettura catalana con scala addossata al muro di fondo”, come si legge nelle guide).
Il Duca Alberto nasce però alla Spezia, destino comune a tanti rampolli di marinai di carriera. Da medico si trova a seguire il Duca d’Aosta in Africa. Venticinque anni più tardi, l'epilogo dell'avventura: leggiamo in proposito Angelo Del Boca in La fine dell'impero


Il 23 gennaio 1943, (…), il vice governatore della Libia, Francesco San Marco, affiancato dal prefetto di Tripoli, il duca Alberto Denti di Pirajno, si recava a Porta Benito, dove il generale Bernard Law Montgomery aveva posto il suo quartier generale, e gli consegnava le chiavi di Tripoli. Nel ricordare il breve discorso del vincitore, Denti di Pirajno, che era, oltre che un alto e stimato funzionario coloniale, uno scrittore finissimo, così si esprimeva: «Montgomery non mi piacque, sia perché il vinto non trova mai simpatico il vincitore, sia perché ci parlava senza guardarci, col capo insaccato fra le spalle rachitiche e lo sguardo inchiodato al suolo. Ebbi allora l'impressione che con questo atteggiamento volesse ostentare il poco conto in cui ci teneva e questo,in un conquistatore, mi parve ingeneroso».” 

Karen Blixen hilser på forfatteren Alberto Denti di Pirajno
Det Kongelige Bibliotek-Copenhagen

L’esperienza africana portò anche a una ricca bibliografia nella quale  più del funzionario coloniale, si espresse il medico, l’umanista e lo scienziato Denti di Pirajno . Nel dopoguerra poi il Duca ci dona questa perla di libro, dove le ricette ora della Grande Cucina francese o italiana, ora della tradizione soprattutto siciliana, ma anche dell’Est europeo e Nordamericana del jet-set, sono intercalate da piccoli saggi, scritti in corpo minore, dove il Nostro, annota i pensieri educati del gastronomo osservatore acuto, bonario ma inflessibile, che sa come curare il mal d’Africa e come condire educatamente un’insalata: “Per la preparazione dell’insalata si tenga presente il detto spagnolo: ci vuole un filosofo che versi l’olio, un avaro che aggiunga aceto, un uomo prudente per il sale, una danzatrice di guedilla** per il pepe, un pazzo per mescolarla.”
Delicious!
Hilda Rix NicholasThe Summer house(circa 1931) 81.3 x 99.7 oil on canvas
Newcastle Art Gallery
Di Alberto Denti di Pirajno è uscito nel 1970 per Longanesi: Siciliani a tavola. Itinerario gastronomico da Messina a Porto Empedocle.*
* Denti di Pirajno , Alberto - Siciliani a tavola : itinerario gastronomico da Messina a Porto Empedocle / di Alberto Denti di Pirajno ; con aggiunte a cura di Massimo Alberini - Milano : Longanesi , [1970]
** Potrebbe forse trattarsi della Seguidilla, canzone a ballo tipica del folklore manchego ma comune in molte parti della Spagna. "La forma más usual de bailar las seguidillas, en Gran Canaria, es con la seguidilla de cuadro, en la que al final de cada copla, se invita al público al acompañamiento con palmas hasta la llegada de la siguiente copla".
Un esempio assai noto di Seguidilla è in Carmen:  ''Près des remparts de Séville''; la danza, e il canto sono qui finalizzati più alla seduzione di don Josè che non a condire l'insalata; ma pur sempre di pepe trattasi.
Duncan Grant
'Seguidilla' (Commisioned for the HMS Queen Mary)
1935
oil on canvas
405 x 279cm
copia fotografica a colori
www.rwa.org.uk/dec/dgrant2.htm
http://www.tate.org.uk/research/researchservices/archive/showcase/item.jsp?view=detail&item=3013

Per le vicende legate all'artista scozzese Duncan Grant e la Cunard Line sulla decorazione della Queen Mary, si veda anche:
http://www.sterling.rmplc.co.uk/

martedì 23 agosto 2011

Intorno al Fil Rouge

Partiamo da questa informazione:
"The Royal Navy used to have all its rope supplies manufactured in its own dockyards, and all dockyard-made rope did indeed have a distinctive (but not red) strand (not thread) running through the middle. However, the purpose of this "rogue's yarn" was not to identify sunken ships, but to identify the rope itself as Navy property, and thus to make it harder for corrupt dockyard workers and boatswains to steal and sell it."

cfr.William Falconer's Dictionary of the Marine, 1780, ad vocem:
ROGUES-YARN, a name given to a rope-yarn, of a particular construction, which is placed in the middle of  every strand, in all cables and cordage in the king's service. It differs from all the rest, as being untarred, and twisted in a contrary manner, by which it is easily discovered. The use of this contrivance is to examine whether any cordage, supposed to be stolen or embezzled, has been formed for the king's service.

Da cui:  qualunque fosse la sua funzione c'era un filo ( rosso?) che correva lungo tutta la lunghezza di una gomena, una linea di vita dal suo inizio alla sua fine.



Una assidua lettrice edimburghese del gastronomo educato, ci porta ora l'essenziale  contributo di una citazione da Le affinità elettive (1809) di Goethe. (Translated by James Anthony Froude and R. Dillon Boylan, 1914).
...we cannot find a fitter transition than through a simile which suggested itself to us on contemplating her exquisite pages. There is, we are told, a curious contrivance in the service of the English marine. The ropes in use in the royal navy, from the largest to the smallest, are so twisted that a red thread runs through them from end to end, which cannot be extracted without undoing the whole; and by which the smallest pieces may be recognized as belonging to the crown. Just so is there drawn through Ottilie's diary, a thread of attachment and affection which connects it all together, and characterizes the whole. And thus these remarks, these observations, these extracted sentences, and whatever else it may contain, were, to the writer, of peculiar meaning.
Aggiunge la illustre linguista:

"Ma la cosa curiosa è che il traslato di Fil Rouge in Inglese si traduce con unifying theme. Si è perso l’originale dell’espressione, privilegiandone il significato."

Certo una perdita significativa anche nello stile, e nel filo rosso che lega ogni britannico e la sua lingua alla tradizione marinara del Regno Unito.
La studiosa coltiva la passione della scienza in cucina, conservando così il "filo rosso" che la lega alle tradizione gastronomiche scozzesi e italiane. Seguendo questa linea, si tiene ben aggiornata sulle novità culinarie, e ci segnala che lo scorso anno una coppia italiana, anzi bolognese, ha partecipato all'annuale concorso gastronomico natalizio del seriosissimo e serissimo quotidiano edimburghese "The Scotsman", piazzando le proprie creazioni al secondo e terzo posto. Le ricette, ispirate alla tradizione italiana e britannica, il cui unifying theme è il prezioso Haggis,  sono tuttora in linea nella prestigiosa sezione Heritage & Culture, agli idirizzi:

http://heritage.scotsman.com/haggis/Haggis-recipe-Haggis-la.6060308.jp
http://heritage.scotsman.com/haggis/Haggis-recipe-Haggis-polenta-and.6060259.jp

Con l'autorizzazione degli autori, M.S e G.F. Il Gastronomo Educato vi offre la versione originale dei due piatti di successo:

Haggis recipe: Haggis, polenta and balsamic vinegar

Ingredients:

1 Haggis, 500 gr.
1 tbsp balsamic vinegar

 For the polenta

1 1/2 litre Water
10 gr. Salt
275 gr. Yellow cornmeal ( polenta)
50 gr. Butter

 Method:

 Cook the haggis according to instructions and keep warm without opening.
Bring water to the boil in a non stick pan. Gradually whisk in the "polenta" with a wooden spoon. Reduce heat to low, stir and cook until the mixture thickens at stiff puree consistence.
Turn the heat off, add butter and stir. Spread the polenta approximately 1 1/2 cm thick onto a large wooden chopping board or stone surface. Let it cool.
Cover the polenta with greased aluminium foil, turn it over an loosen with the edge a blade. 
Cut into six circles with the help of a large glass. Place on a greased baking tray and grill until top is golden.
Cut the haggis and spoon it over the polenta discs. Drizzle with balsamic vinegar and serve immediately.

Haggis à la Wellington

lunedì 22 agosto 2011

Il filo d’olio il filo d’oro il filo rosso (2)

Mariolina Venezia, Mille anni che sto qui
Einaudi, Torino 2006


L’olio che scaturisce dalle cisterne fessurate dal terremoto, prima a filo, poi a ruscelli e infine in torrente impetuoso è l’inizio della storia “dall'Unità alla caduta del muro di Berlino”, la memoria di una ricchezza andata perduta, che ne richiama un’altra pure perduta in oro borbonico seppellito chissà dove, a Grottole, in provincia di Matera, “all’altezza di quasi 500 metri sul livello del mare, in cima ad un colle” sul crinale orientale della Valle del Basento. Olio e oro, fame e miseria, riscatto e ricostruzione, sono il fil rouge di questa storia coinvolgente, scritta con grande abilità e maestria, con resa appassionata di caratteri e luoghi, con la coscienza e conoscenza di chi è da mille anni che sta qui, in quella Patria Tellus dei Lucani che non è di nessun altro e che mai altrove, pur cercandola si trova. Tant’è vero che il libro ha avuto accoglienze entusiaste in terra di migranti, «libro affascinante», per il Washington Post, «una narrazione incantevole» sul New York Times, e che ha ora una traduzione cinese (Lucani di Cina, dove siete?). Libro crudo e asciutto ma denso sotto la superficie, di umori e calori, profumi e afrori, più che solari, canicolari e tellurici.
Grazie a Sivia, Zì Mimì, Zì Margherita, 'a Ciuetta...







domenica 21 agosto 2011

Il filo d’olio il filo d’oro il filo rosso (1)



Il barone Giuseppe Francesco Cianci di Cavasecca, Peppinello per gli amici e i pochissimi non amici, biondo e di gentile aspetto, divideva la sua ancor giovane vita tra i Parioli, Roma e il sud est della Sicilia, presso alcune dimore “nella disponibilità” della famiglia. In una di queste, nel Capoluogo, si faceva una prima colazione a base di caffè, pane caldo al sesamo con le acciughe e  frutta. Si scendeva poi con comodo in strada per una seconda prima colazione al tavolino del caffè, di dove si poteva con agio taliare le femmine al primo passeggio. Qui si aveva granita di mandorla, focaccia farcita di gelato e un altro caffè, torrefazione Torrisi di Catania. A questo punto la giornata poteva anche cominciare. Se si optava per una gita di piacere, al mare di Fontane Bianche, a Pachino, Eloro o a Capo Passero, si prendeva la Duetto blu, a gas per non inquinare. Talvolta il sedile del passeggero veniva leggiadramente occupato da almeno sei secoli di storia nella persona di una principessa romana di sangue, molto giovane, molto bella, molto profumata e molto intangibile; in quel caso l’Ospite Bolognese viaggiava accoccolato nello strapuntino: noblesse oblige. Se si sceglievano gli affari, cioè una visita alla campagna eponima, si andava con la Mercedes Codine giardinetta. Era immatricolata come mezzo agricolo, acquistata con il contributo della Cassa del Mezzogiorno, e per questo nel vano posteriore c’era sempre un sacchetto di juta con 2 kg. di mandorle e stampigliata la scritta “Az.Ag.Cavasicca”, in caso di controllo della Finanza. Si andava a pranzo sempre e comunque in un’altra delle dimore “a disposizione”. Qui regnavano le zie, già ottantenni,  donne colte e di larghe vedute, dopo più di trent’anni passati negli Stati Uniti al seguito della moderately successful impresa americana del, da tempo defunto, marito di una di loro. Erano queste signore cuoche memorabili. L’accesso alla cucina era generalmente interdetto, si fece un’eccezione per l’Ospite Bolognese che come tale si qualificava adatto ad assistere alle operazioni di preparazione e cottura. Vennero così narrati fatti antichi, moderni e contemporanei di quelle Terre, dalle querelles baronali sedate con astuzia dal Signore di Bagni, al Marchese di Cassibile che cavalca “in coscciùme adamitico” tra gli ulivi della tenuta (colà non esistevano piedi ma estremità ne’ natiche, ma generiche terga), all’”armistizio breve”, fino al più recente disgraziato caso del pretore onorario circondato da una folla minacciosa nella cabina telefonica da cui schizzava sconcezze via cavo ad alcune timorate signore del paese. Tutto pur di distrarre l’Ospite dalle segrete preparazioni. Talvolta, nel primo cortile, piastrellato e munito di fontana, il giovane barone in persona, che era ed è anche chirurgo, sezionava con gli strumenti della professione sua, un coniglio più o meno selvatico, capitato in casa non si sa bene come. Sulle mensole, dentro ceramiche di Caltagirone, riposavano gli ingredienti della caponata in attesa di riunirsi nella composizione finale. La caponata si faceva infatti “alla palermitana” in onore delle origini più antiche della famiglia.


Caponata delle Zie d’America


Melanzane, in totale 500-750 gr

1 ½ l d’Olio (!)

1 cipolla media

500 gr di passata di pomodoro

Olive verdi

Sedano bianco tenero

50 gr. di capperi panteschi

100 cc di buon aceto di vino

1 cucchiaio di zucchero, disciolto nell’aceto

Mandorle

Sale e pepe

Le melanzane vanno tagliate a dadini e fatte spurgare nel solito modo. Vanno poi salate e pepate e poi imbiondite in tegame con metà dell’olio bollente e tratte dal tegame con una ramina, scolandole. Mettere da parte.

In una padella si versa l’olio rimanente e si fa disfare bene la cipolla affettata. Si aggiungono il sedano a tocchetti, le olive e la polpa di pomodoro, mescolando con cura. Salare se necessario e far sobbollire per ridurre un po’ la salsa. Si aggiungono poi le mandorle, i capperi e la miscela di aceto e zucchero. Cuocere ancora incoperchiato per il tempo necessario alla perfetta consistenza del sedano.

Si versa in un recipiente di terraglia e si lascia raffreddare e riposare. E' ottima fredda il giorno dopo.
Se si è in tanti, moltiplicare le dosi, ma si può anche stare più stretti con l'olio!








Un meritorio servizio alla conoscenza della cucina siciliana mediata dalla buona letteratura ci viene dai Fans di Camilleri con la loro pagina a: http://www.vigata.org/cucina/ricette. Ibidem si trova: Andrea Camilleri. I piatti della nonna dentro Montalbano , un appassionato inervento di Sebastiano Messina già pubblicato su "La Domenica di Repubblica", 10.7.2005 che così incipit:
I profumi, i sapori, l'atmosfera e i segreti della cucina della casa di campagna a Porto Empedocle sono entrati nelle pagine dei suoi libri e non per semplice caso. Ogni squisitezza del ricettario di nonna Elvira ha la sua storia, anche i mitici arancini del commissario Montalbano arrivano da lì. Svelare i misteri dei piatti della cuoca-generalessa significa ritornare all'infanzia e alla prima conoscenza della sua indimenticabile Sicilia.

sabato 20 agosto 2011

In bianco, all’olio extra vergine di oliva.


La lattina dell'olio extra vergine d'oliva di Kolimvari, presso Chanea, nel Nord Ovest di Creta.
Uno dei migliori dell'Isola e di tutta la Grecia.

Athena, oltre che Pallade è anche e soprattutto Parthenos, Αθηνά Παρθένος, e così si chiamava la statua crisolelefantina che stava nel Partenone, la “casa della Parthenos”. L’aggettivo crisoelefantina fu udito per la prima volta da trenta studenti di Prima del Liceo Ginnasio M.Minghetti di Bologna alcune primavere orsono, pronunciato da un mitico e mai troppo lodato professore di Storia dell’Arte a proposito della statua di Zeus in Olimpia, appunto crisoelefantina e fidiaca. I trenta rimasero alquanto scossi dall’annuncio, cercando di immaginare elefanti d’oro, Dei proboscidati o pachidermi volanti, tanto che l’amatissimo docente fu costretto ad assumere le sembianze dello Zeus in questione con l’abilità mimetica a Lui solita. L’ambiente si riscaldò un po’ e il concetto passò; solo un trentunesimo alunno che sapeva già tutto perché aveva letto l’intera Enciclopedia dell’Accademia delle Scienze di Mosca, continuò imperturbato a leggere l’Unità. Adesso fa il radiologo al Rizzoli.


La Parthenos, si diceva, la (extra) Vergine, intatta e intangibile; ne sanno qualcosa Tiresia, che l’ultima visione della realtà che ebbe modo di avere fu quella della dea ignuda e al bagno, poi più nulla, buio pesto! Da allora gli toccò tirare a indovinare, e qualche volta ci prendeva anche; e il nostro Efesto ostetrico improvvisato, che la ottenne in sposa ma la vide subito scomparire dal talamo nuziale, finendo con ciò in bianco la prima notte di nozze e tutte le successive.


Tutto ciò procurò nuova fama alla nostra Athena e tuttora per dire che un olio greco è purissimo ed extra vergine si scrive sulla lattina o sulla bottiglia: “exairetiò parthéno elaiòlado”, Εξαιρετικό Παρθένο Ελαιόλαδο, e si decora l’etichetta con un bel profilo della Dea, un po’ per riconoscenza e un po’ per assonanza.




La felice combinazione “in bianco” e “olio extra vergine d’oliva” ci riconducono al presente e in Via San Vitale, dove esercita la missione di medico il Dottor Scala-Quaranta, eccellente diagnostico e assiduo osservatore dei moti delle stelle. E’ a lui che si rivolge anche il più educato dei gastronomi quando il gaster sopraffà la nomia. In questi casi la prescrizione è una: fermenti lattici, pasta o riso in bianco conditi con olio extra vergine d’oliva e Parmigiano Reggiano, carne bianca ai ferri con un filo d’olio crudo. Degna della Scuola Salernitana la panacea è efficace e semplice da attuare.

La Ricetta del Dottore



Per la parte riguardante la carne basta affidarsi alla procedura dei Titani. Usare carne di vitello o anche pollo, evitare la bollitura preventiva e sostituirla con una marinatura in yogurt, sale e olio extra vergine d’oliva, infilare i pezzetti di carne in uno spiedino intervallando con crostini di pane e cuocere alla piastra, griglia o anche al microonde, in tal caso gli spiedini siano di legno di bambù. Fuori cottura ancora olio extravergine.


Per la pasta: cuocere la pasta, solo in questo caso 80 grammi a persona, direi farfalle, sedanini o gobbetti, in abbondante acqua salata, scolare “ come piace “, condire fuori dal fuoco con olio extra vergine d’oliva e Parmigiano Reggiano.


Per il riso: due strade convergenti: cuocere il riso all’inglese, ma con l’acqua se ne va anche il buono, o all’indiana, cuocendo coperto il riso già salato con il doppio del suo volume in acqua fino a completo assorbimento, poi via con abbondanza di olio extra vergine d’oliva e Parmigiano Reggiano.


Infallibile.







venerdì 19 agosto 2011

Il Tegame di Athena

Athena, lo sappiamo tutti, (è una di quelle “cose che non avvennero mai, ma sono sempre”, Sallustio*, cit. da Roberto Calasso all'inizio di: Le nozze di Cadmo e Armonia), nacque dalla testa di Zeus opportunamente spaccata da Efesto con scure di bronzo. E fin qui poco male, ma la nuova dea scaturisce armata di tutto punto, con elmo, lancia, corazza  e scudo, l’egida o αιγίδα, assai simile nell’iconografia  antica  a un padellone rovesciato o τηγάνι.
Per il resto la dea si accompagna per ora ad animali di nessun uso gastronomico: la civetta, il serpente e la cornacchia di mare, o Corvus Eremita!
Perseo dona ad Atena la testa di Medusa che viene posta al centro della propria egida.
Krater, attribuito al Pittore di Tarporley, 400-385 a.C. Museum of Fine Arts, Boston

Ma per la Dea il primo incontro culinario non tarda a presentarsi: i Titani hanno appena ucciso Dioniso e si apprestano a cucinarlo; Athena si impossessa del di lui cuore che ancora palpita, “pallein” in Greco Antico. Mentre la Dea si procura così l’appellativo di Pallade, "la Palpitante", Παλλς θήνη, i buoni Titani si danno da fare con quel che resta di Dioniso: lo sbranano, mettono al fuoco un pentolone su un tripode e lo fanno bollire un po’, poi infilzano i pezzettini in piccoli spiedi, obeliscoi, che vengono passati al gran fuoco "degno di Efesto". I Titani finiscono fulminati da Zeus, ma la gastronomia greca non si libererà più dei suoi souvlaki o σουβλάκια. L’intera scenetta è descritta con vivezza di particolari da Clemente Alessandrino nel Protrettico 2, 18.**

I souvlaki più sublimi, e forse più i vicini agli originali, furono incontrati da Mr. J.W.W.  e dalla sua famiglia in un villaggio di montagna nel Nord Est della Grecia continentale, in una taverna ospitata in uno chalet svizzero piuttosto incongruo ma accogliente, con un gran fuoco ove appunto si arrostivano grossi cubi di arnì infilati in lunghi obeliscoi. Condimento: sale pepe e olio extra vergine di oliva. Unforgettable!
* Cfr: Salustio. Sugli dèi e il mondo; a cura di Riccardo Di Giuseppe. - Milano : Adelphi, 2000; ma anche: Sallustius. Concerning the gods and the universe; edited with prolegomena and translation by Arthur Darby Nock, Olms, 1988. Ripr.dell'ed.: Cambridge : at the University press, 1926. Testo greco e traduzione inglese
 
**  Cfr: Giorgio Colli. La sapienza greca I, Adephi Milano 1990 pagg. 246-247


mercoledì 17 agosto 2011

Athena in cucina oggi suggerisce:


Fougasse à l'huile d'olive

500g de farine
1 cuillerée 1/2 de sel
2 sachets de levure de boulanger
30 cl d’eau tiède
150 cl d’huile d’olive



Mettez 500g de farine et 1 cuillerée 1/2 de sel dans un saladier. Ajoutez 2 sachets de levure de boulanger et mélangez.

Versez 30 cl d’eau tiède et mélangez à nouveau. Ajoutez 6 cuillerées à soupe d’huile d’olive et pétrissez la pâte jusqu’à ce qu’elle soit élastique. Couvrez, laissez reposer 1 h.

La pâte doit avoir doublé de volume. Formez deux boules, abaissez-les en deux galettes. Posez-les sur la grille du four recouverte de papier cuisson, dessinez des croisillons sur les fougasses, couvrez et laissez encore lever 1/2 heure. Humidifiez très légèrement les fougasses, puis enfournez-les dans le four préchauffé à 220 °C environ 25 à 30 minutes. Si elles dorent trop, baissez la température du four en fin de cuisson. Laissez tiédir sur une grille, avant de servir avec des olives noires.



Merci à Vanessa.



il Gastronomo Educato

Facciamo le presentazioni: ecco Athena (Leonardo Santoli, 1996/2006). In famiglia e per gli amici è Elvira. L'originale senza maquillage è al Museo Civico di Bologna sotto il nome di Athena Palagi . Quella è a sua volta una replica romana dell'Athena Lemnia di Fidia. Athena protegge la Sapienza, e per questo qualche volta sta in biblioteca, ma ha anche piantato il primo olivo sull'Acropoli di Atene, e perciò sta volentieri anche in cucina.